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La stanza della follia

Enrico IV è il personaggio più personaggio di tutta l’opera pirandelliana. Nella sua figura non solo si radunano i motivi principali della ricerca e dell’inquietudine dello scrittore, premio Nobel per la letteratura, ma anche il processo di rinnovamento delle scene da lui perseguito. Rappresentato dopo i «Sei personaggi in cerca d’autore» nel 1922, ne riprende la problematica teatrale assorbendola in un meccanismo che si adegua intimamente alla figura del protagonista. Enrico IV è l’individuo che impone agli altri il suo teatro e prende in mano l’azione scenica creando di volta in volta la sua storia. La feroce critica che fa contro le apparenze, date come verità, i conformismi, le istituzioni, la vita tutta nel suo insieme di inganni e di falsità, acquistano in lui una capacità di corrosione implacabile. Scegliendo la condizione di pazzo, quando pazzo non è più, egli si è riservato un destino eccezionale di giudice. Persa la ragione per una caduta, durante una cavalcata a cavallo in costume a cui egli partecipava nei panni di Enrico IV, rimane per anni nella convinzione di essere l’antico imperatore di Germania. Dopo dodici anni riacquista improvvisamente la ragione e si scopre già maturo, con i capelli grigi; attorno “tutto incerto, tutto finito”, solo la possibilità di arrivare “con una fame da lupo ad un banchetto già bell’e sparecchiato”.

Escluso, per una beffa del destino dalla vita, prende la sua rivincita. Dalla nicchia di questa sua pazzia ha potuto scorgere e valutare più ombre che luci, estrarre una malinconica filosofia in un monologo quotidiano dove finzione e realtà, ragione e pazzia, non presentano più limiti precisi nel dubbio amletico dell’esistenza: “essere o non essere”.

L’angoscia di Enrico IV è soprattutto quella di non riuscire ad identificarsi con se stesso, di non poter più credere alle cose che un tempo aveva per certe. Sarà il recupero della normalità, dopo la guarigione, a immetterlo paradossalmente in una dimensione psichica più sconvolgente e allucinante della malattia. Egli, da sano, percepisce la frattura irreparabile fra sé e la realtà: il suo io, gli altri, tutto il suo universo, gli appaiono scomposti, frantumati in una molteplicità d’immagini, uno squadrone di fantasmi che lo insegue togliendogli la pace alle sue veglie e ai suoi sonni: “Io ho sempre tanta paura quando di notte me le vedo davanti, tante immagini scompigliate che ridono, smontate da cavallo”.

Enrico IV riassume e concentra in sé tutti i piani ed i tempi: uomo-attore-personaggio.

Uomo: è l’aristocratico o alto-borghese dalla giovinezza dissipata, con troppa intelligenza critica, troppi estri e astratti furori, perduto dietro ad una donna che non merita certamente tanta attenzione e tumulto del cuore.

Attore: è colui che poi guarito, coscientemente finge e recita la pazzia.

Personaggio: è la maschera che l’attore ha assunto, quella appunto fissata per sempre nella storia del “tragico e grande imperatore”.

Enrico IV è terribile, ammiccante, infantile, insinuante, compiaciuto, che si commisera e si esalta, che alterna l’umiltà e una sorta di smarrimento a sfoghi di autorità e di orgoglio iperbolici; manovra con abilità istrionica e mostruosa coloro che hanno fatto irruzione nella sfera della sua solitudine visionaria, “buffoni spaventati”. Alla fine il protagonista rimane solo nello spazio scenico che è la sua finzione/prigione, il palcoscenico: inteso come sede del “momento eterno” del rito che la tragedia antica sapeva celebrare.

Crediti

regia

Antonio Zanoletti

con

Mario Mascitelli, Gabriella Carrozza, Damiano Camarda e Mario Aroldi

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