L'ultimo spettacolo. Un pieno d'affetto e malinconia per salutare il Cerchio
L'articolo di Valeria Ottolenghi per la Gazzetta di Parma
"Un silenzio denso, compatto. Gli sguardi, l’ascolto, concentrati sull’eccellente interpretazione dell’unico protagonista in scena, Manuele Morgese in tre differenti ruoli per «Il caso Dorian Gray» nella rielaborazione scenica di Giuseppe Manfridi, ma l’applauso finale, denso, compatto, tornato più volte a potenti onde di calda partecipazione, non era solo per l’attore al termine di uno spettacolo forse anche fin troppo denso di parole in corsa, ma per quel sentire comune insieme di saluto definitivo e d’incoraggiamento per il futuro. Già: perché il Teatro del Cerchio, quello spazio quadrato con il pubblico seduto sugli alti gradoni, sempre folto di tanti spettatori, bambini incantati nei pomeriggi dei giorni festivi, la sera per incontri che negli anni si sono rivelati sempre più ricchi di sorprese, linguaggi originali, artisti dalle poetiche colte e coraggiose, sì, quello spazio presto non sarebbe esistito più. Ultimo atto. Tutte le forme sono mortali, ricorda Peter Brook: il teatro, così effimero per sua natura, ne è dimostrazione perenne. Anche per i suoi edifici in pietra? Ma il Teatro del Cerchio, cresciuto meravigliosamente nel tempo, per le attività laboratoriali, le produzioni, le ospitalità, è, prima di tutto, un insieme di persone.
Così è stato sottolineato al termine di uno spettacolo con ben dieci anni di vita, tante le repliche, molti i riconoscimenti per quest’opera tratta dal romanzo di Oscar Wilde, regia di Pino Micol, produzione TeatroZeta. Questione di tempi. Come spesso accade. Ma la città di Parma non lascerà disperdere tanta competenza dimostrata in infiniti modi, nella risistemazione funzionale di quello spazio che presto verrà demolito, nella programmazione, e anche nel percorso creativo (davvero eccellente la rielaborazione scenica del «Woyzeck»).
Ecco: un po’ di malinconia in quell’applauso forse, ma certo anche stimolo per andare avanti. Così al termine di uno spettacolo che ha restituito il percorso del romanzo attraverso il mefistofelico Lord Henry Wotton, il pittore Basil Hallward e lo stesso Dorian Gray in un’atmosfera gotico faustiana, fosca, tenebrosa, una grande cornice dorata a lato per lo specchio/ritratto della deformazione degli anni, del male, tracce indelebili. Ritorna il pugnale, a terra il protagonista nelle sue spoglie mortali, l’attore/ effige immobile, trionfante infine il quadro. L’arte sulla vita? Sempre preziose nel tempo le pagine di Oscar Wilde".
(Valeria Ottolenghi, Gazzetta di Parma)