Il Malato Immaginario di Molière: Argante, il nostro uomo moderno
Il parere dello spettatore attento: recensione a cura di Agata Saglia
Come diceva Calvino “Un classico è un libro che non ha finito di dire quello che ha da dire” e non c’è forse frase più adatta per Il Malato Immaginario di Molière, andato in scena venerdì 25, sabato 26 gennaio, venerdì 1 e sabato 2 febbraio al Teatro del Cerchio, regia di Antonio Zanoletti.
Intrisa di realismo, questa commedia racconta le vicissitudini di Argante, ricco capofamiglia ipocondriaco, che trascorre i suoi giorni in casa, tra le attenzioni dei famigliari, della domestica e le cure di medici approfittatori, intenti a lucrare sulla sua condizione.
C’è molto umano in questo Malato Immaginario, molto umano di allora ed umano di ora. Molière critica in modo aspro la società a lui contemporanea, deridendo in particolare l’ignoranza ingenua di chi si fida e si affida ad una medicina non ancora scientifica e facendo grande satira contro l’egoismo, l’ipocrisia e l’avarizia dei medici in quanto uomini, al pari degli altri grandi protagonisti dell’universo molieriano. La rilettura di Zanoletti fa un passo in più, quasi a dare nuove fronde ad un albero ben saldo ed ancorato alle profondità del terreno.
L’Argante di Zanoletti altri non è se non il nostro uomo moderno che, ossessionato dalla paura di invecchiare, ammalarsi e di una vita che gli sfugge dalle mani, si dimentica di fare l’unica cosa che conta: viverla. “Ma si può sapere che mali hai?” chiede Belardo al fratello Argante senza ottenere risposta. Come l’ipocondriaco che vediamo in scena è incastrato in un ciclo ininterrotto di diagnosi improvvisate, clisteri, lassativi ed un continuo andirivieni dalla poltrona al bagno, l’uomo dei giorni nostri si trova invero prigioniero in una spirale nevrotica tra diete chetogenetiche, regimi alimentari detossinanti, pastiglie, integratori, specialisti, psicologi, psichiatri, tranquillanti, esami improbabili e referti che si spera diano risposte quasi si fosse da una maga per la lettura delle carte. Come Argante fa i capricci e frigna attaccandosi alla gonna della moglie ed al camice dei medici, l’uomo moderno spesso si inventa falsi problemi, piange e si lamenta pestando i piedi per la mancanza di condizione di perfezione e stabile felicità che, del tutto simile ad un personalissimo Godot, è destinata ad arrivare mai.
La scenografia è essenziale, pochi gli oggetti in scena -una poltrona, un tavolo con ampolle e medicamenti vari, uno specchio- in linea con la drammaturgia di Molière, che si fa tanto più semplice quanto più sono ampi i temi trattati e quanto più egli osserva con l’occhio dell’osservatore oggettivo ma giudicante della natura dell’uomo e delle cose con la sua costante ironia. È proprio la chiave ironica della narrazione, qui ben resa e rispettata, che lascia a chi guarda la libertà di cogliere ciò che vuole e si sente di cogliere: più che semplici spettatori, ci si trova così ad essere veri curiosi impegnati a sbirciare dalla serratura del vicino per ridere delle sue sventure e delle sue dinamiche domestiche o forse per fermarsi un attimo e chiedersi: “C’è anche un po’ di me in tutto questo?”.
Bravi ed affiatati gli interpreti, sapiente, acuta, divertente e divertita la mano del regista, tantissimi e lunghi gli applausi. È bello quando teatro e vita riescono a dialogare in maniera così aperta e sincera ritrovandosi l’uno nell’altra come in un gioco di specchi. E voi, che mali avete?